Vita morte e resurrezione di un luogo:
dalle officine Ducrot ai Cantieri Culturali
dalle officine Ducrot ai Cantieri Culturali
Come molte storie importanti, anche la storia dei cantieri culturali alla Zisa inizia con una storia d’amore. Siamo nella seconda metà dell’800 e Palermo è una città assai diversa da quella che siamo abituati a conoscere. I Florio sono alla massima espansione del loro impero, anche se sono contemporaneamente sul ciglio di un baratro che li porterà ad estinguere la loro capacità imprenditoriale. Giovan Battista ed Ernesto Basile sono tra i più importanti architetti d’Italia e sono pronti a traghettarla da un solido neoclassicismo ad un modernismo più leggero e floreale. Palermo è una città di produzione che compete nei campi più disparati dalla chimica, alla manifattura fino ad arrivare alla costruzione navale e alla realizzazione di mobili.
Ma vi avevamo promesso una storia d’amore ed è da qui che cominciamo!
Carlo Golia era un imprenditore palermitano. Aveva una fabbrica di specchi e commerciava in articoli di lusso. Sul finire dell’800 conobbe Maria Roche una fascinosa donna di origine francese che era rimasta vedova, mentre era in dolce attesa. Il bimbo di Maria si chiamò Vittorio, come il padre Victor Ducrot, un ingegnere ferroviario.
L’amore per sua moglie e per il figlio adottivo sono la ragione per cui la fabbrica di mobili tramutò il suo nome da Impresa Carlo Golia e C. in “Ducrot Palermo, Successore di Golia & C. e di Solei Herbert”, ma questo avvenne solo nel 1902 e noi dobbiamo procedere con ordine.
Carlo Golia fu un commerciante di specchi, stoffe ed articoli di lusso. Palermo era un buon mercato a quel tempo e presto ampliò la sua impresa, iniziando la fabbricazione di mobili. L’esposizione Nazionale del 1892, fu il campo da gioco su cui l’imprenditore consolidò il suo impero. Contemporaneamente iniziò una collaborazione ed un’amicizia tra l’imprenditore e la famiglia Basile.
La svolta nella produzione della fabbrica di Carlo Golia si ebbe quando il figlio adottivo Vittorio Ducrot, si affiancò al padre e poi, alla sua scomparsa divenne il capitano dell’azienda. Siamo così arrivati al 1902 ed al cambio di nome. Da questa data comincia a consolidarsi uno dei tanti miti che Palermo ricorda e rimpiange. Perché la città tende sempre a ricordare un’età dell’oro che poi è stata irrimediabilmente smarrita.
Se vi capita di andare al Grand Hotel Villa Igea, al Grand Hotel delle Palme o a Montecitorio potete guardare i frutti di questa età dell’oro.
Non c’è dubbio che la fortuna della fabbrica Ducrot sia dovuta alla concomitanza di 3 fattori:
• Il sodalizio tra uno dei più grandi interpreti del modernismo italiano, Ernesto Basile e Vittorio Ducrot.
• La capacità di Vittorio Ducrot di stare dentro il mercato.
• L’abilità e la cura degli artigiani palermitani.
Sul ruolo di protagonista dell’architettura italiana modernista di Ernesto Basile è probabilmente inutile soffermarsi, mentre per quanto riguarda le abilità di Vittorio Ducrot di essere un imprenditore accorto basterà ricordare l’avventurosa ma riuscita riconversione della fabbrica durante la I guerra mondiale. Mentre altre imprese soffrivano, infatti, la fabbrica Ducrot prese a produrre caccia bombardieri idrovolanti. O ancora, quando, dopo la Grande Guerra, rivolse la produzione al settore nautico ed alle grandi commesse, perché il mercato interno riusciva sempre meno ad assorbire i prodotti di lusso o comunque di qualità della Ducrot.
Comunque sia gli anni dal 1902 al 1939 sono anni di espansione. La fabbrica passa da 200 operai nei primi anni del secolo fino a 445 nel 1911 e a 1000 nel 1913. Il mobilificio Ducrot si espande fino agli anni ’30 quando conta più di 2000 operai. In quel periodo aveva sedi e negozi a Milano, Napoli, Roma oltre che, naturalmente a Palermo. L’ultima impresa di Vittorio Ducrot resta impressa nella facciata della palazzina, che incontriamo subito a sinistra dell’entrata di via Paolo Gili. Sulla facciata sta scritto SAAS. La palazzina, infatti non fece mai parte del mobilificio Ducrot ma era il centro amministrativo della Società Anonima Aeronautica Siciliana. Nel 1936 gran parte del mobilificio fu convertito per la produzione di aerei. Ormai, però la guida di Ducrot volgeva al termine e nel 1939 la società fu ceduta ad un imprenditore genovese. Dalla seconda guerra mondiale in poi si assiste ad una lenta ed inesorabile decadenza.
La fine e la rinascita delle officine Ducrot sono un vero e proprio manifesto. Negli anni ’60 Palermo era cambiata, aveva proprio modificato il suo DNA. Il cancro della speculazione edilizia stava letteralmente divorando la città. Il modello economico imperante ed i profitti garantiti dalla rendita immobiliare erano imbattibili. Non conveniva fare altro in città. Il tessuto sociale si inebriava di questo evanescente benessere, la città si corrompeva ed il patto scellerato tra le amministrazioni e la mafia generarono forse il peggior Piano Regolatore d’Italia. In questo contesto tutta la città produttiva fallì. Tutta la maestria di Palermo si avvizzì in poco più di un decennio. Questa apocalisse urbana ha riempito la città di luoghi stranissimi, di cul de sac, di frantumazioni tra borgate e città nuova. Ha generato uno spazio urbano in cui la schizofrenia è la sola cifra stilistica. Ha amplificato i recinti e le sconnessioni. Ha generato un allontanamento dal mare e la rinuncia a qualsiasi velleità produttiva.
Da questa apocalisse la fabbrica Ducrot non poteva salvarsi. Ormai capitanata da un gruppo industriale genovese era una periferia in cui la maestria degli operai era mortificata da progetti non più all’altezza. La voracità della speculazione edilizia e della crescita della città assume in questo caso un valore fisico oltre che metaforico. Perché nel 1973, quando il cadavere di quella che fu una fabbrica da 2000 operai era ancora caldo, una grande fetta dell’area dei cantieri fu destinata a edilizia residenziale con una variante al Piano. Da ciò consegue la demolizione nel 1977) dell’area più vicina a via Paolo Gili verso Piazza Principe di Camporeale (oggi caserma ed alloggi per la polizia). In questo modo abbiamo smarrito il prospetto principale della fabbrica con i suoi due fornici su Via Paolo Gili.
Però la storia dei cantieri non è solo la storia di una fine ma anche quella di un nuovo inizio.
Il 16 Luglio 1995 il comune di Palermo acquista quel che resta della fabbrica Ducrot e comincia una lenta metamorfosi solo in parte governata.La fabbrica sotto lo stimolo di protagonisti della cultura del ‘900 come Pina Bausch e sotto l’azione di veri e propri pionieri come Goethe institut e Centro Culturale Francese diventa pian piano cantiere di Cultura.
Non è una metamorfosi ovvia. A Palermo c’è uno spazio gemello dei Cantieri. In cui l’industria fallisce più o meno negli stessi anni e che viene anch’esso acquisito dal Comune, si tratta della Chimica Arenella. Eppure questo spazio non è diventato un luogo culturale. I cantieri lo sono diventati lentamente e con un processo graduale ed organico, quasi senza progetto. Questo fatto genera un bel po’ di problemi, di frenate come negli anni dal 2002 al 2012 e di accelerate come avvenne sul finire del 2011. Però consegna uno spazio vivo in cui abitano diversi attori della cultura urbana di Palermo. Ancora una volta I Cantieri Culturali alla Zisa sono un luogo esemplare in cui la cultura si è arroccata, isolandosi dalla città. Ci sono centri culturali che connettono Palermo alla Francia, alla Germania e alla Grecia, Ci sono scuole come il Centro Sperimentale di Cinematografia e l’Accademia di Belle Arti, c’è l’istituto Gramsci, ARCI Tavola Tonda, Verein Dusseldorf, Legambiente Sicilia, il teatro Biondo, Babel, Associazione Mazzoleni, il comune di Palermo e Cre.Zi. Plus e tante altre associazioni ed organizzazioni che si connettono a questo luogo. Ormai è inevitabile che la cultura a Palermo smetta di difendersi. Non c’è più bisogno di muri ma di porte. I Cantieri devono completare la loro mutazione e diventare un luogo d’incontro e di passaggio. Devono essere la connessione tra il castello della Zisa ed il quartiere della Noce. Solo così la città avrà scelto di non avere paura di se stessa.